La collegiata di Casarano (di Fabio Cavallo)

 

  •             Le chiese collegiate
  •             La collegiata di Casarano: ebdomadari e dignità
  •             Le processioni
  •          Le processioni del Corpus Domini
  •             Le esequie funerali
  •          Le tariffe per il pagamento di funerali
  •             L'ufficio delle tenebre
  •             Note

 

 

Due anni prima che si celebrasse il solenne rito di consacrazione e dedicazione, (domenica 4 aprile 1723) la parrocchia Matrice di Casarano fu elevata al grado di chiesa collegiata, il 23 aprile 1721 con bolla vescovile di mons. Antonio Sanfelice. L'istituzione della collegiata, sia pur "ad instar" (1), portò all'erezione nella chiesa stessa, del Capitolo collegiato, un collegio di sacerdoti preposti al decoro e al culto delle varie liturgie che si celebravano nel tempio.

Definizione di chiese collegiate.

Le chiese collegiate erano del tutto simili alle cattedrali ma, mancando la figura del vescovo, non potevano rappresentare il senato episcopale, né coadiuvavano al governo diocesano. Esse facevano da corona alla chiesa vescovile e i membri appartenenti, oltre a curare le cerimonie liturgiche, erano tenuti a far vita comune insieme. Potevano essere collegiate a pieno titolo o collegiate "ad instar". Ciò che differenziava le due tipologie di chiese era l'onorificenza di "canonico" del quale si fregiavano i componenti delle prime; le seconde erano formate da semplici sacerdoti (2). Luogo deputato per la recita dell'Ufficio, la partecipazione alla messa "conventuale" e le eventuali riunioni capitolari era il coro (o aula capitolare), posto frequentemente dietro l'altare maggiore (3). Sulla parete che guardava frontalmente l'altare, vi erano gli scranni riservati alle "dignità" del Capitolo, mentre gli altri posti spettavano ai partecipanti. L'ordine superiore era esclusivamente riservato ai sacerdoti mentre i cosiddetti "beneficiari minori" (chierici, accoliti, mansionari…) occupavano posto nell'ordine inferiore. Il Capitolo poteva essere "curato" o "non curato". Il primo attendeva anche alla cura d'anime della parrocchia tramite un parroco curato che solitamente era membro tra le dignità. Il primo passo per la soppressione delle collegiate si compì con le leggi n. 3848 del 1867 e 1403 del 1873 che prevedevano la scomparsa dei capitoli collegiali non curati, esclusi quelli presenti a Roma e nelle diocesi suburbicarie (4). La revisione dei Patti Lateranensi fatta nel 1984, durante il governo Craxi, mise termine alla vita delle collegiate che durarono giuridicamente fino al 31 dicembre 1986. Le chiese collegiate furono riportate al grado di semplici parrocchie. (5)

La collegiata di Casarano: dignità e ebdomadari

Il Capitolo collegiato curato di Casarano contava, intorno alla prima metà del Settecento, ben 17 sacerdoti partecipanti, chiamati "ebdomadari" (dal lat. ebdomada=settimana)(6). Essi, in base ad appositi sorteggi riportati su liste e registri conservati nella sagrestia, venivano settimanalmente destinati a celebrare le messe legatizie sugli altari della Matrice. Nelle messe solenni (Natale, Pasqua, San Giovanni…) dovevano assistere alla liturgia seduti nel coro con l'abito corale (abito talare nero, cotta bianca e mozzetta violacea guarnita di ermellino), intenti a cantare o rispondere ai vari momenti della celebrazione. La prima dignità del Capitolo era l'arciprete (il primo prete) che fungeva da parroco. A lui spettavano le celebrazioni solenni e aveva il privilegio di cantar messa con la presenza del diacono e del suddiacono (7). L'arciprete riscuoteva la maggior tariffa per pagamento di messe e presiedeva nel coro durante l'Ufficio e le riunioni periodiche. La seconda dignità presente nel Capitolo casaranese era l'Arcidiacono, (il primo dignitario). Era l' "alter ego" dell'arciprete e, in talune occasioni, lo sostituiva nelle celebrazioni (8). Egli, che a dispetto del nome, era comunque un sacerdote, designava periodicamente gli ebdomadari per l'ufficio di diacono e di suddiacono, nelle messe solenni (9). Terza dignità a seguire era il cantore, il quale spettava di intonare in canto gregoriano, le lezioni dell'Ufficio e i canti propri e le antifone della Messa. Il primicerio, quarta dignità dopo l'arciprete era il preposto all'educazione dei beneficiati minori, i quali in rare occasioni officiavano come diaconi. Spesso, però, i gradi di dignità erano conferiti per pura onorificenza (10). Due altre figure cosiddette "tecniche" completavano la composizione del Capitolo: il vicario foraneo, rappresentante episcopale nella foranìa di Casarano (11) e il procuratore, che gestiva gli affari economici del sodalizio. Ovviamente la figura del vicario era scelta direttamente dal vescovo mentre il procuratore veniva eletto in forma segreta dai componenti del Capitolo, ogni anno a fine agosto. Per questioni della massima importanza, venivano tenuti in considerazione anche il primo anziano e il secondo anziano che sedevano rispettivamente alle estremità degli scranni frontali.

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Le processioni.

Al Capitolo erano riservate le solenni processioni dell'anno, quella del "Corpus Domini" obbligatoria per norma del diritto canonico e quelle patronali di San Giovanni e della Madonna della Campana, chiamate, per l'appunto "capitolari". C'era l'obbligo della partecipazione di tutti i membri, se non impediti da cause gravi, e si disponevano in file per due secondo l'anzianità. Nelle processioni, l'arciprete (o colui che trasportava il reliquiario o l'ostensorio) era affiancato dall'arcidiacono e dal cantore che gli tenevano i lembi del piviale liturgico (popolarmente detta cappamagna). Obbligatorie per tutti la berretta nera (trepizzi) e la caratteristica e raffinata mozzetta con pelliccia di ermellino, cucita verticalmente sul davanti, indossata sulla cotta il cui privilegio dell'uso, pare, sia stato concesso al Clero casaranese dalla Santa Sede, per via dei natali di Papa Bonifacio IX, al secolo Pietro Tomacelli.

 

Le processioni del Corpus Domini

Prima della riforma liturgica del Vaticano II, le processioni per la solennità del Corpus erano tre:  al mezzogiorno del giovedì, la domenica successiva e il giovedì dell'ottava a sera. Per il capitolo cittadino, le processioni del I e del II giovedì erano "capitolari", quindi prevedevano la partecipazione di tutti i membri. In particolare, la prima processione aveva luogo al termine della messa cantata delle ore 10 e partiva sempre dalla Chiesa Madre. L'obbligo di partecipazione era esteso anche a tutte le confraternite cittadine e i sodalizi religiosi. I sacerdoti del capitolo, a differenza di altre ricorrenze, indossavano i paramenti della Messa e non la cotta e la mozzetta. L'arciprete in piviale, sotto il pallio, sosteneva l'ostensorio del Santissimo non toccandolo direttamente con le mani ma con l'ausilio del velo omerale. Procedeva dietro ad esso, portando l'ombrello eucaristico, il Barone De Donatis, esponente del patriziato casaranese (solitamente a incombere a tale servizio era il Sindaco). Stesso canovaccio si ripeteva al giovedì successivo - ottava della festa - con la differenza che la processione avveniva di sera e, durante il tragitto, sostava davanti alle abitazioni che avevano allestito addobbi floreali con immagini e simboli eucaristici, chiamati popolarmente "altarini", per la benedizione con il Santissimo. Scarne notizie si hanno invece sulla processione della domenica, o meglio sulle processioni. Pare, infatti, che al termine della messa principale del mattino, esse si snodavano dalle chiese principali dell'epoca (Chiesa Madre, San Domenico, Immacolata, Convento) con brevi percorsi nel rione di appartenenza. La graduale scomparsa di due delle tre processioni iniziò nel 1955, quando una disposizione della Santa Sede limitò di molto la celebrazione delle ottave che godevano molte feste religiose. In seguitò si stabilì che la processione fosse unica e svolta nel giorno della solennità (giovedì dopo la SS. Trinità). Dal 1977 il giovedì cedette il passo alla domenica.

 

Le esequie funerali.

Le esequie funerali competevano esclusivamente al Capitolo cittadino, indipendentemente dalla parrocchia di appartenenza del defunto. Le esequie erano classificate in due riti: il doppio e il semplice. Le esequie di rito doppio, a loro volta si distinguevano di I e II classe. Per il doppio di prima classe si pagava al Capitolo l'offerta "sana" (=intera) per cui il funerale era celebrato con solennità. Il clero salmodiante, partendo dalla chiesa Madre arrivava a casa del defunto per la levata del cadavere. L'arciprete (o un sostituto) vestiva con piviale nero (la cappamagna) e veniva preceduto dai sacerdoti in mozzetta e berretta, con una candela in mano. In chiesa, si cantava l'ufficio solenne dei defunti. Il cadavere veniva poggiato di fronte all'altare maggiore, sul "catafalco", ingombrante costruzione di legno addobbata con paramenti scuri. La bara si circondava con ceri accesi. Al termine dell'officiatura, il Capitolo accompagnava il corteo "… fino all'ultima casa di via Matino…" per la celebrazione della "valedictio" (il commiato), come prescriveva l'ordinamento dei riti capitolari,. Simile alla prima classe era il funerale di seconda il quale, però, essendo pagato a "menza 'nferta" (=mezza offerta) era privo del carattere di solennità. Il clero vestito con l'abito corale (talare, cotta, mozzetta e stola nera) muoveva a casa del defunto per poi dirigersi in chiesa. Lì, solitamente, veniva recitato l'ufficio funebre e impartito il rito di assoluzione del cadavere, poi soltanto il parroco o un sostituto accompagnava il feretro per l'ultimo tragitto. I funerali semplici spettavano ai meno facoltosi e competeva una tariffa minima; in questo caso, un solo sacerdote prelevava l'estinto dalla casa e lo accompagnava in chiesa per i riti prescritti. Nella stragrande maggioranza dei casi, a Casarano il funerale veniva celebrato con la tariffa di "nferta sana". Il giorno successivo al funerale, veniva celebrata la funzione funebre con tanto di messa solenne cantata come se la salma fosse presente in chiesa. Al posto di essa, però, veniva posato, di fronte l'altare, un drappo funebre (in alcuni casi, anche una bara vuota) così da permettere al sacerdote, terminata la messa, di espletare il rito di assoluzione. Deposta la pianeta e il manipolo sull'altare, l'officiante indossava il piviale e incensava il drappo con tre "ductus" (tre tiri doppi di incensiere fumigante, di cui due colpi in avanti, due a sinistra e due a destra) e lo aspergeva con acqua benedetta recitando le orazioni prescritte. Anche in questo caso, ad un maggiore pagamento di tariffa competeva una cerimonia più solenne. Se il funerale "absente corpore" veniva pagato con offerta sana, alla messa solenne cantata partecipava il capitolo seduto nel coro che, al termine della funzione, si disponeva intorno al drappo con candele accese cantando le famose sequenze gregoriane "De Profundis…" e "Libera me Domine". Questa disposizione veniva chiamata la "Crata". Il Concilio Vaticano II ha uniformato il rito delle esequie abolendo le classi e tutti i privilegi che ne conseguivano.

 

Le tariffe per il pagamento di funerali

Può risultare utile lo specchietto, di seguito riportato, che sintetizza le tariffe per il pagamento di funerali intorno al 1750 in terra d'Otranto.

 

 

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L'ufficio delle tenebre.

Gli antichi riti della Settimana Santa casaranese (e non solo di Casarano ma di molte altre comunità) hanno accusato, negli ultimi decenni, numerose e sostanziali modifiche, dovute, anzitutto, all'attuazione della riforma liturgica scaturita dal Concilio Vaticano II ma anche ad un lento e costante declino dell'importanza e della vitalità delle Confraternite nel tessuto religioso e sociale della città. Un tempo, i riti del Triduo pasquale iniziavano con la recita nelle Parrocchie (all'epoca Matrice e San Domenico) del cosiddetto "Ufficio delle Tenebre", [Mattutinum Tenebrarum] popolarmente conosciuto come "u terramotu" (!). Si trattava della recita dell'Ora di mattutino (12) della Feria IV "In Coena Domini" (corrispondente alle attuali Lodi del Giovedì Santo) che, per via della sua lunghezza, veniva anticipata alla sera del Mercoledì santo. Il nome "Tenebre" può suscitare pensieri e visioni legate alla morte, soprattutto a quella di Cristo, ma più semplicemente stava a sottolineare che l'Ufficio terminava quando già erano calate le tenebre. Le cerimonie di codesto Ufficio consistevano nel recitare i 15 salmi previsti e al termine di ognuno di essi si spegneva, partendo dal basso, una candela posta sulla "saetta", un particolare candeliere a forma di triangolo provvisto di altrettante candele (simboleggianti i 12 apostoli, la Vergine e San Giovanni Evangelista). Contemporaneamente si spegnevano gradualmente anche le luci della chiesa. Si arrivava alla fine con il cero posto sull'apice della saetta e la chiesa immersa nel buio. Allora il cerimoniere prendeva questa candela - il Cristo - e la riponeva accesa dietro l'altare maggiore (gesto simbolico per rappresentare la discesa di Gesù nel sepolcro) facendo scomparire l'ultima fonte di luce presente nel tempio. Le rubriche dell'Ufficio prescrivevano che, in quel preciso momento i fedeli e il clero facessero "fragor et strepitus aliquantulum", cioè producessero un po’ di rumore con qualche arnese per rievocare quell'improbabile terremoto avvenuto sul monte Calvario a seguito alla morte di Cristo. Ma a questo punto si registrava il momento più intenso del rito. Le fragorose "trozzule" delle Confraternite, i libri sacri dei Sacerdoti e i piedi e le mani dei fedeli battuti con forza sui banchi della Chiesa facevano molto più dello "strepitus aliquantulum" (13). Ecco il terremoto che pareva non finire mai. Ma una volta ricomparsa la candela sul candeliere (la Risurrezione), magicamente quell'inferno cessava e il rito poteva dirsi concluso. L'Ufficio delle Tenebre veniva ripetuto anche la sera del Giovedì e del Venerdì Santo. Ma in queste due serate, il rito aveva una suggestiva appendice. E' da premettere che fino agli anni '90, le Confraternite compivano il giro dei "sepolcri" per soddisfare l'applicazione dell'indulgenza plenaria che prescriveva la visita al Santissimo Sacramento in tutte le chiese cittadine. Oggi e a maggior ragione, l'indulgenza si ottiene semplicemente nel pregare e sostare davanti ad un solo Repositorio. I membri maschili sfilavano la sera del Giovedì mentre le consorelle la mattina del Venerdì, accompagnati entrambi dal Padre spirituale. Inoltre fino agli anni 60, i Confratelli, portavano con sé l'immagine della Madonna Addolorata (ecco spiegata la presenza di questo simulacro nelle sedi delle Confraternite casaranesi - oltre l'Immacolata, San Domenico per la Congrega di San Giuseppe, Chiesa Madre per San Giovanni E. e l'oratorio dell'Immacolata per Santa Lucia.). Il "giro delle Addolorate" stava a simboleggiare la ricerca, anche in questo caso improbabile, che la Vergine fece nel ritrovare il sepolcro del suo Figlio morto. La Confraternita dell'Immacolata era l'ultima a varcare la soglia della Chiesa Madre, Nel tempio era presente il predicatore quaresimale, solitamente un Cappuccino, che avvertito dell'arrivo dell'Addolorata - e solo di quella dell'Immacolata - pronunciava dal pulpito lo straziante annuncio: " Vieni, Maria e prendi Tuo Figlio!". Le porte si spalancavano e il simulacro incedeva al suono lancinante del silenzio di una tromba fino all'altezza del pulpito. Qui, il Predicatore sfilava il Crocefisso lì presente e lo poggiava sulle braccia tese di Maria. E subito l'imponente folla che gremiva la Chiesa si struggeva in lacrime. La notte del Venerdì Santo, la processione dei Misteri sostava in Chiesa Madre dove il predicatore nuovamente dava saggio della sua oratoria. Dopo il panegirico, la processione imboccava Via Roma per il rientro nella Cappella dell'Immacolata. L'ufficio delle Tenebre fu soppresso nel 1955 con la riforma dei riti della Settimana santa voluta dal Santo Padre Pio XII, la quale dispose che la Messa "in Coena Domini" si celebrasse ai Vespri del Giovedì Santo e, inevitabilmente, l'Ufficio dei Salmi tornò nella sua collocazione naturale, cioè la mattina del Giovedì.

Note:

1.      Dal latino: ad instar = simile a.

2.      Nella diocesi di Nardò, dipendevano dalla cattedrale due chiese propriamente collegiate (Copertino e Galatone) e due "ad instar" collegiate (Casarano e Parabita).

3.      Il coro ligneo di Casarano è opera dell'intagliatore bavarese Giorgio Auer che lo realizzò similmente a quello della cattedrale di Gallipoli. Sua è anche la balaustra della cantoria dove è posto l'organo del 1770. Nel Medioevo, i cori erano disposti davanti all'altare maggiore, in seguito, durante il Rinascimento, furono collocati dietro, nell'abside.

4.      Le sedi suburbicarie sono le sette diocesi che confinano con quella di Roma (Ostia, Albano, Frascati, Palestrina, Porto S. Rufina, Sabina - Poggio Mirteto, Velletri) e sono guidate da Cardinali dell'ordine dei Vescovi.

5.      L'art. 14 della legge 20.05.1985 n. 222 "Sostentamento del Clero" dice: "Dal 1° gennaio 1987, su richiesta dell'autorità ecclesiastica competente può essere revocato il riconoscimento civile (personalità giuridica) ai capitoli cattedrali e collegiali non più rispondenti a particolari esigenze e tradizioni religiose e culturali della popolazione…".

6.      Nel calendario liturgico proprio del 1974, la curia di Nardò indicava la Chiesa di Casarano "chiesa ad instar collegiata" e i sacerdoti partecipanti erano in otto: Arciprete Don Decio Merico, Don Antonio Albano, Don Luigi Ferilli, Don Giovanni Battista Borgia, Don Angelo Pino, parroco Don Raffaele Martina, Don Giuseppe Pulieri, parroco Don Gaetano Filograna.

7.      L'ordine del suddiaconato fu soppresso nel 1971 a seguito del rifacimento del "Pontificalis Romano", il libro delle liturgie vescovili. Il ministero del suddiacono era quello di leggere o cantare l'epistola e il graduale (la prima lettura e il salmo responsoriale) durante la messa, di versare l'acqua nel calice all'offertorio e di compiere le purificazioni dei vasi e dei calici dopo la comunione. Era addetto, inoltre, allo spostamento del messale ai due corni dell'altare. Poteva essere consacrato diacono dopo tre mesi di suddiaconato. Le vesti proprie erano il manipolo (attaccato al polso sinistro) e la tunicella. Non indossava la stola.

8.      Può essere comparato all'odierno vicario parrocchiale (il vice parroco).

9.      E' bene specificare che, dopo la riforma del Concilio Vaticano II, un sacerdote non può officiare ad una funzione liturgica nelle vesti di diacono o compiendo altri uffici che non gli competono. Un tempo, però tale consuetudine era alquanto praticata.

10.  Altre dignità di un Capitolo sono: il priore (titolo puramente onorifico), il tesoriere (addetto al tesoro, alle reliquie e ai preziosi della chiesa), il teologo (interprete delle sacre scritture), il prevosto (curatore della disciplina del Capitolo), il decano (il più anziano dei sacerdoti).

11.  Attualmente la diocesi di Nardo' e Gallipoli è territorialmente organizzata in sei foranie: Nardò (intitolata a San Gregorio), Gallipoli (Sant'Agata), Copertino (San Giuseppe da Cop.), Galatone (Ss. Crocefisso), Casarano (B.V.M. Coltura), Alliste (B.V.M. Madre della Chiesa).

12.  Prima del Concilio, le ore liturgiche erano 8: mattutino (prima dell'alba, intorno alle ore 3 o 4), laudi (all'alba, ore 5 o 6), prima (ore 7), terza (ore 9), sesta (mezzodì), nona (ore 15), vespri (al crepuscolo), compieta (prima di coricarsi). Ora sono ridotte a 5: ufficio delle letture, lodi mattutine, ora media, vespri e compieta.

13.  Alcuni libri di preghiere identificano il frastuono finale dell'ufficio nelle frustate che Gesù ricevette legato alla colonna del Sinedrio, oppure gli schiamazzi del popolo che gridava a Pilato "crocifiggilo".

 

Elenco degli arcipreti e delle dignità del Capitolo di Casarano

ARCIPRETI CURATI

A R C I P R E T I

Città di nascita

DAL

AL

Don Salvatore Tundo (titolo onorifico)

Parabita

2016

 tuttoggi

Don Agostino Bove (titolo onorifico)

Galatone

1999

2016

Mons. Decio Merico

Parabita

1972

1999

Don Cosimo Conte

Melissano

1953

1971

Don Otello De Benedictis

Nardò

1931

1953

Mons. Gregorio Falconieri

Nardò

1927

1931

Don Donato Frisullo

Aradeo

1919?

1927?

Don Luigi Bona

Nardò

?

1918

Don Giuseppe Ottaviano

Casarano

?

1917

Don Raffaele Manuli

Taviano

1892

1903 

Don Giorgio Romano (in carica per oltre 50 anni)

Matino

1837

1890

?

1802

1837

Don Lazzaro Metafuni

?

1780 ?

1802

Don Domenico Angelo D'Elia

?

1770

1780

Don Lazzaro Spano

?

1768

1770

Don Donato Spano

?

1732

1768

Don Paolo De Donatis

?

1705

1728

Don Daniele Calo'

?

1679

1705

Don Pietrantonio De Pennis

?

1656

1679

Don Marcello D'Elia

Casarano

?

1656

 

DIGNITA' e PARTECIPANTI (dalla metà del 1600 al 1950)

Don Ferdinando Dongiovanni

Arcidiacono

Abate Don Matteo D'Aquino

Arcidiacono

Don Antonio D'Aquino

Arcidiacono

Don Giuseppe Casarano

Arcidiacono e vicario f.

Don Giuseppe Nicola Gaballone

Cantore

Don Leonardo Vernaleone

Cantore

Don Francesco Maria Vernaleone

Cantore

Don Quintino Borgia

Diacono

Don Domenicantonio Vernaleone

Ebdomadario

Don Giovanni Leonardo De Donatis

Ebdomadario

Don Andrea Calbano

Ebdomadario

Don Giuseppe Diaz Del Gado

Ebdomadario

Don Salvatore Vitali

Ebdomadario

Don Domenico Pellegrino

Ebdomadario

Don Paolo Casarano

Ebdomadario

 

 

Don Scipione Casto

Ebdomadario

Don Leonardo Cavalera

Ebdomadario

Don Epifanio Ferilli

Ebdomadario

Don Giuseppe Marrella

Ebdomadario

Don Giovanni Primiceri

Ebdomadario

Don Pietro Paolo Reho

Ebdomadario

Don Nicola Memmi

Ebdomadario

Don Giuseppe De Donatis

Primicerio e cantore

Don Onofrio Gaballone

Procuratore

Don Luca Paiano

Procuratore e vicario f.

Don Andrea Papa

Vicario foraneo

Don Alfonso Ottaviano

Vicario foraneo

Don Felice De Giorgi

Vicario foraneo

 

 

Struttura del Capitolo nel 1974

(desunto dalla guida liturgica della diocesi di Nardò)

 

Arciprete Don Decio Merico       (Parroco della Matrice)

Don Antonio Albano

Don Gaetano Filograna               (parroco del Sacro Cuore)

Don Giovanni B. Borgia

Don Luigi Ferilli

Don Raffaele Martina                  (parroco di San Domenico)

Padre Angelo Pino

Don Giuseppe Pulieri